L'addio di coloro che restano

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    Mille e più candele davano un'aurea così mistica alla grande sala scavata nella nuda terra, senza fronzoli ad abbellirla, né gingilli inutili che potessero incantare gli occhi dei presenti, raccolti in un religioso silenzio, calato dopo i bagordi avvenuti solo poche ore prima; fiumi di birra erano scorsi, e cibo a volontà su vassoi d'argento avevano passato mani di ogni tipo, dalle più delicate alle callose dei soldati. Canti s'erano levati e ricordi vaghi d'un tempo ormai perduto negli annali di storia, narrati dai più anziani fra giovani e futuri rampolli.

    Ora era giunto il momento del silenzio, cupo e ammaliante, dove ognuno s'era raccolto in saluto verso coloro che lasciavano quella terra mortale per incontrarsi oltre il velo dell'irreale, nelle grandiose sale di Mandos.

    In fila indiana ogni appartenente di razza e casato, discendeva una breve scalinata per porgere breve commiato alle due salme poste fra pelli e fiori, l'una accanto all'altra, nei preziosi tessuti che componevano le loro vesti regali.
    Ognuno dei presenti perdeva importanza di titolo o classe, tutti uniti e uguali di fronte alla morte di coloro che avevano rappresentato qualcosa nella loro vita: un parente, un'amico, un compagno d'avventura o semplicemente un mito di quelle narrazioni che correvano di bocca in bocca ormai da secoli.

    Il profumo d'incenso si levava dai bracieri, sinuose lingue di fumo che disperdevano l'aroma fra genti di ogni mondo, accorse in quel giorno solenne, ognuno con un peso diverso nel cuore taciuto sotto strati di carne e vesti.

    Al più grande fra i nani, imperatore indiscusso nella dinastia Durin, era stata posta la sua spada, colei che in mille e più situazioni l'aveva vista compagna del guerriero; amica e confidente fra guerra e sangue, mentre intorno al corpo oltre ai fiori posti da coloro che avevano preparato i due corpi c'erano piccoli oggetti di ogni tipo che avrebbero seguito la via della tomba, nelle sacre catacombe delle Montagne Azzurre.

    Gingilli dati in dono da chi, oltre il cammino, poneva sulla lastra di pietra ciò che aveva un particolare significato o un collegamento con il defunto.
    Stessa cosa valeva per l'Hobbit, che sotto le mani intrecciate dimorava un piccolo libro di pelle rossa: il suo primissimo taccuino da cui ogni viaggio fu trascritto infine in bella, nelle pile immense contenute nella biblioteca reale.

    Della spada Pungolo, trovata in quell'antica avventura verso Erebor, era stata avvolta in una stoffa damascata che la stessa Sili avrebbe consegnato a quel parente lontano, come parte della sua eredità. Non era un guerriero, il Baggins, anche se aveva dimostrato più di una volta il suo coraggio in situazioni estreme.

    Lui raccontava, con quella sua fantasiosa capacità di catturarti. E così era stato scelto di porre nel suo viaggio verso Mandos ciò che più l'avrebbe rappresentato.


    Era così che il culmine del giorno del commiato trovava meta, fra miti sorrisi e lacrime mute.
    Era così che Thorin Scudodiquercia e Bilbo Baggins vennero onorati da coloro che ivi presenziarono.
     
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    Dopo il colloquio con Ralin, e tutte le vicende assurde pervenute solo un'ora prima, la giovane si apprestò a raggiungere l'immensa sala scavata nella nuda pietra, dove le salme attendevano; aveva recuperato Arsad dalle braccia dell'anziana tutrice, passandogli una mano fra quei riccioli selvaggi e morbidi, così che gli strappò un sorriso sornione da cucciolo.
    Lui era piccolo, troppo giovane per comprendere la morte, ma sapeva che suo marito aveva fatto un lavoro esemplare per spiegargli ciò che tutt'ora stava avvenendo.

    Sili fu testimone della marea di gente raccolta sulla lunga scalinata, candele a vibrar di fiamma nelle loro mani, in una processione colma d'affetto per coloro che li stavano lasciando, nell'estremo saluto prima della sepoltura.
    Mise davanti a se il figlio, prendendogli una manina per condurlo fino alle due lastre di marmo, sul quale Thorin e Bilbo riposavano nel loro sonno eterno. Fu doloroso per lei vedere il bambino studiare con curiosa perplessità i due nonni immobili.
    Ben presto quella sua voce morbida e infantile la raggiunse, con capacità di coscienza nel tenerla ad un tono basso, perché intimorito di poter disturbare sia i morti che i vivi, ponendole le classiche domande che coglievano gli ignari.

    E lei con amorevole gentilezza gli spiegò perché c'erano così tante persone, come i due defunti fossero amati da molti e ammirati dai più, e che quello era la dimostrazione di questi due sentimenti.
    Arsad si fece avanti, una volta che furono vicini, posando accanto ai suoi nonni due dei suoi giochi preferiti, intagliati da abili artigiani nel legno di faggio, come dono per quel viaggio invisibile che lui comprendeva appena.
    -Così sapranno che io gli voglio bene- Aveva riferito, coscienzioso, ricercando nel viso triste della madre una sorta di benevolenza e accettazione che arrivò insieme ad una carezza sul volto.
    Sili camminò con docile lentezza fra l'uno e l'altro genitore, ponendo una stretta d'addio alle loro spalle rigide, chinandosi per baciarne le guance ghiacciate, imprimendosi nella memoria il calore di quella pelle e dell'amore ricevuto fin negli ultimi giorni della loro esistenza.
    Avrebbe egoisticamente voluto che vivessero altri cent'anni, accanto alle figure dei figli ormai grandi. Un pensiero ricorrente nella sua mente negli ultimi giorni, che l'avevano fatta apparire più piccola e indifesa di quanto volesse.
    Eppure la vita era quella, e per quanto infima e malvagia potesse essere, aveva un suo corso naturale da seguire.

    Si ritrasse, lasciando posto a coloro che vennero dopo, osservando Nili accanto a Lorin, anche loro racchiusi in un mite dolore dimorante sulle loro espressioni tirate.
    Volle successivamente che il fratello minore si mettesse accanto a lei per godere della sua compagnia; aveva compreso le ragioni di Ralin sulla decisione di mandarlo ad Oltremare, ma allo stesso tempo avrebbe voluto godere della sua vicinanza ancora per molto tempo.
    Guardò ogni viso presente in quella sala e si fermò principalmente su Dréin, lasciato uscire dai propri alloggi per presiedere all'estremo saluto dei suoi parenti.
    Non lo odiava Sili, non provava un sentimento così deleterio, ma sentiva nel cuore un'insofferenza non indifferente alle azioni protratte dal Garaz, che fu quasi colta dalla moglie di questo, che seguì l'allontanarsi dello sguardo della nanhobbit dal marito.

    Sili, recuperato il piccolo Arsad, tornò accanto a Ralin e qui si strinse al suo braccio, lasciando che i pensieri scemassero del tutto per lasciar posto al nulla assoluto.
     
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  3. Borin III Piediroccia
     
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    Quando si discostò dalla massa uniforme di misto razze, pochi ebbero modo di rendersi conto della sua effettiva presenza in quel luogo di lutto. I più non conoscevano la sua identità, né si interessarono di domandarla al vicino o al conoscente, catalogandolo come uno dei tanti nani della corte delle Montagne Azzurre.
    Eppure Borin III della famiglia dei Piediroccia balzava all'occhio per il suo incarnato baciato dal sole, distinguibile dal resto della marmaglia dei monti dal clima più temperato, anche se la luce soffusa delle candele giocava a suo vantaggio in quel luogo lugubre.
    Aveva viaggiato in solitaria, sul proprio pony senza alcuna scorta armata che potesse attirare troppo l'attenzione del suo passaggio nella Terra di Mezzo, da parte del resto dei popoli d'Arda. In via del tutto ufficiosa era lì per presenziare sotto il nome della famiglia reale, il quale aveva ben altri intenti che mettersi in strada per dare saluto agli imperatori Durin.

    Ovviamente, per lo stesso, non era d'interesse alcuno discendere la scalinata per avvicinarsi ai due corpi in conservazione imposta dalle sagge pratiche degli imbalsamatori, per elargir omaggio. No, Borin III aveva fatto tutta quella strada per blanda noia e per una curiosa evoluzione di fatti che gli avevano imposto un'attento studio delle dinamiche del regno Durin.
    Sprezzante quindi dei commenti di chi sapeva della sua identità, che lo vedevano al centro di pettegolezzi succosi sulla sua persona, Borin s'accese la pipa colma di tabacco, studiando quei corpi brulicanti e privi d'intelletto che s'affaccendavano l'uno dietro l'altro come formiche laboriose, metà delle quali era lì solo per farsi vedere affranta.
    Conosceva bene l'animo delle persone, i loro meschini giochi d'accaparrarsi notorietà e fama, nell'andare a dire in giro "Io c'ero!". Baldanzosa ignoranza e ingordigia.

    Buttò fuori un'ampia quantità di fumo, sembrando un comignolo di camino, sul tetto che scotta, mentre il resto della plebaglia proseguiva gli ossequi e lui rimaneva in disparte, su uno dei pianerottoli più alti.
    Lo sguardo vagò, catturando l'attenzione del suo alleato segreto, Malin Asciarossa, e di chi non poteva fare a meno di scorgere fra gli affranti l'unico menefreghista.
    Un piccolo sorriso si creò su quella faccia da schiaffi, facendo un cenno di ossequi alla futura sposa di Nain IV, prima d'individuare quella creaturina rara che era Vhara Garaz.

    La vide scendere verso le salme e compiere i propri ossequi, prima di ricongiungersi alla propria compagnia, ponderando con attenzione ciò che la stessa aveva rischiato nel suo viaggio.
    Ovviamente c'era stato il suo zampino nell'impedirlo, sapendo che lo stesso suo salvatore e Signore non avrebbe tirato quelle somme, troppo preso a macerare insofferenza nella perdita di tempo.
    Spostò quindi attenzione su Ralin II, il nuovo giovane imperatore, conoscendone la natura senza ritenersi in una posizione d'essere scoperto tanto facilmente; troppa gente ivi riunita e di sicuro l'incenso e la cera avrebbero dato non pochi problemi al suo olfatto sopraffino.

    Lasciò che accanto a lui si ponesse Awalin, di sicuro pesantemente drogato per evitare che potesse uscirsene con qualche sua follia nel momento tanto solenne, posandogli una mano sulla schiena in segno d'amicizia, meticoloso nel rimirare quella scacchiera effimera che dimorava di fronte ai suoi occhi.
    Ognuno di loro spiccava fra gli altri, chi già precedentemente schierato e chi ancora silente, in quella guerra continua di forze: luce e ombra a combattere una battaglia millenaria che ai suoi occhi pareva così ridicola quanto stuzzicante.
    E fra di essi c'era lui, silente e nascosto, morte fra la vita fremente che popolava l'intera sala. Soppesò a lungo la figura minuta della principessa Nili, aspirando una boccata di fumo, prima di lasciarsi coinvolgere in un colloquio privato con Awalin, in quei rari momenti di lucidità.
     
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  4. Nili Durin
     
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    Quando quel caotico girotondo di vicissitudini che fu il banchetto pre funerale pian piano andò scemando, ognuno degli ospiti presenti nella grande sala si mise sulle spalle il proprio doloroso fardello per scemare verso un'unico luogo prestabilito; la stessa nanhobbit, che ben poco aveva toccato della moltitudine di cibo posta sul lungo tavolo, prese per mano il fratello minore e seguì la fiumara di gente, prendendo nella mancina libera una candela spenta.
    Giunsero sulla sommità di quella scalinata, vorticosa maestosità che pareva volesse risucchiare ognuno di loro fin nel baratro più oscuro della montagna, per far perdere di loro ogni traccia. Nili ebbe un salto nel piccolo cuoricino pompante, a tale pensiero, ponendo il cerino della candela nelle vicinanza di un braciere, così da essere come tanti una luce di conforto nell'oscurità e nell'importanza del momento.
    Lorin era quieto accanto a lei, con la fiammella della sua candela che danzava suadente ad ogni respiro mal trattenuto del bambino, nella discesa che si prestarono a fare nel raggiungere i corpi dei loro genitori.

    Nili tratteneva a stento un elegante riserbo. Sapeva che le lacrime erano dietro l'angolo, in attesa di far capolino dai suoi grandi occhi blu e capitolare lungo le guance di pesca.
    Eppure si ripeteva di essere forte, che non era più una bambina, anche se l'età non mentiva affatto, visto l'imminente matrimonio che l'avrebbe decretata adulta al fianco del suo re.
    Quel pensiero le fece storcere le labbra ben modellate in una smorfia di contrasto, mentre i piedi affrontavano un gradino alla volta, in testa insieme al resto dei parenti, a quel corteo funebre.
    Non vedeva i volti, non le interessavano gli stati d'animo, più avvolta da un torpore d'inesistenza, che le lacerava lentamente il cuore e la mente; lei non era forte come sua sorella Sili, non era paziente né così buona e solare, dimostrando si una vivacità straordinaria, ma anche peccando troppo d'inerzia e furbizia.

    Era un contrasto continuo che si dibatteva in quel corpicino di femmina, acuta di comprendonio sapeva come far valere le proprie ragioni, sentendo al contempo quella nota sbagliata in un angolo nascosto della sua anima. Eppure era così e ben poche cose avrebbero potuto cambiarla.
    Prese un lungo respiro sofferto, quando tutte quelle concezioni per metà la raggiunsero, esattamente nel momento in cui dovettero fermarsi di fronte alle salme di Thorin e Bilbo.
    Non era presente quando se n'erano andati, come non lo era stata per la maggior parte della sua infanzia, sempre troppo lontana e abbandonata ad una stretta solitudine che la coglieva nella veglia prima del sonno.
    Di questo dava la colpa a se stessa, come anche a coloro che l'avevano allontanata, gli stessi che ora dimoravano nel sonno eterno della morte. Un connubio strano e sbagliato che s'arrovellava nella sua testa, provando insoddisfazione e dolore per coloro che non vi erano più.
    Il velo sul suo viso evitava al resto dei presenti di vedere il suo sguardo piccato, nell'espressione neutra che aveva colto il suo volto di madreperla: quante emozioni si potevano provare durante un addio? Lei credeva avrebbe sentito solo un'infinita tristezza, ed invece...

    Invece s'arrabattava la rabbia con l'insoddisfazione, la malcelata insistenza nel non aver avuto ciò che le spettava e l'amara considerazione d'essere ora più sola che mai.
    Non ci sarebbe stato più suo padre Thorin ad ammonirla per qualche pasticcio creato.
    Non ci sarebbe stata più la benevolenza di Bilbo nel correggerla e guidarla verso la strada giusta.

    Questo la portò ad essere spaventata e allo stesso tempo sollevata, mentre lasciava la mano di Lorin, così che potesse avvicinarsi alle due lastre di pietra, per dire addio ai genitori. Lei tacque di fronte a loro, come se intorno a se non ci fosse stato più nessuno ma solo la sua presenza in mezzo ai morti.
    Strinse la candela fra le mani, sentendo la cera scivolare lungo la sottile asta, andando a colare sulle sue mani coperte da fini guanti di pizzo: non ne sentì il calore, troppo calata in quei pensieri in disaccordo fra loro, sentendo un'insistente richiamo lontano che pareva ammonirla sull'esistenza stessa della sua natura.
    Senza rendersene conto, sapeva chi fosse quel nobile, e chi alle sue spalle vigeva in attesa, dietro ombre di cenere.

    Quando Lorin tornò da lei, Nili lo riaccompagnò verso la scalinata, sentendosi sotto una stretta sorveglianza, che le fece voltare lo sguardo verso un unico nano in solitaria: il fumo si sollevava dalle sue labbra, andandosi a disperdere verso il soffitto immenso.
    Fu quasi un'attimo rubato dallo scorrere del tempo, quel loro rimirarsi, prima che fosse distolta attenzione e la nanhobbit scalò quell'immensa scalinata per portare con se il fratello più giovane verso nuova luce.
     
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