Il potere delle ombre

Monologo

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  1. Ragaroth Viidost Nevonaar
     
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    Smosse con lentezza una mano, permettendo al sole di giostrarsi fra i tendaggi d'un cobalto impressionante, creando giochi di luce sulla superficie di supelletti in argento, che proiettarono tale prodigio sulle pareti candide.

    Soffocante desiderio di distruggerne ogni superficie, fu magnanimo lasciare intatto quel teatrino lussuoso, mera bugiardaggine dell'umana stirpe risiedente in quelle terre.

    Aprì e chiuse le labbra in un gesto annoiato, facendo schioccare la lingua contro il palato umido, mentre i passi portarono quel corpo di carne ad attraversare la stanza ammobiliata e superarla per sfociare sul lungo terrazzo inondato dal profumo di salsedine.

    Con gli occhi d'un neonato straniero, Ragaroth sbuffò inerzia, poggiando i palmi freddi contro il marmoreo parapetto, osservando con rassegnato intorpidimento quel via vai di genti diverse lungo le strade di Tyfaral.

    Sardonico tripudio di bestie immonde.
    Le avrebbe decimate volentieri in un ruggente sospiro, se il patriarca non avesse deciso il contrario, ammanettandolo nell'impossibilità di fare tale prodigio.

    Alzò gli occhi nocciola verso l'infinito orizzonte, deturpato dal tendaggi e bandiere, alberi carichi di frutti e inutili gingilli umani, per farsi lontano con lo sguardo e la mente.

    E fu colpo sicuro quello che brandì la sua essenza assai più giovane quanto espansiva. Le dita strinsero il marmo e le unghie ne creparono l'esistenza, facendo scivolare briciole inconsistenti verso i giardini immensi della reggia dell'attuale monarca.

    -Monah...- Bisbigliò infastidito, avvertendo la tanto decantata calma andare in fumo, come lo stesso precipitare d'eventi a miglia e miglia di distanza.

    Perchè Ragaroth era intangibile, incoerente con la realtà dell'esistenza.
    Lui vedeva lontano.
    Lui sapeva.

    L'incarnato si fece poco più pallido, apparendo quasi come un giovane in procinto d'avere un collasso, un'imminente svenimento; le iridi si tinsero di brace viva, e furono taciute oltre le palpebre, per proiettare la propria coscenza oltre il tangibile.

    E fu di fronte alla disfatta, di fronte alla pericolosa realtà della fine di Dale.

    Ioneglai, stolto psicotico imbecille svettava come una montagna di fronte alle porte dell'antica città degli uomini. Non temette per quella misera presenza taciute, oltre le sue zampe poderose.

    Sapeva che sua madre fosse ben lungi dall'essere tanto sciocca dal farsi ammazzare da quella sottospecie di lucertola mal cresciuta. Vi era però in Ragaroth un fastidio precoce, sempre più crescente, nell'intangibilità della sua presenza.

    Poiché era ombra, fra le ombre degli alberi che componevano Bosco Atro.
    Un verso di stizza lasciò la propria gola, nell'osservare un vecchio e una giovane, taciuti fra quegli arbusti, nella rimembranza dell'idiozia del parente.
    Scoperti.
    Messi al bando di fronte all'incoscienza umana e razziale.

    Ioneglai aveva osato dimostrare la loro esistenza.

    Ombra, fumo impercettibile nel piano dell'esistenza, Ragaroth s'avvicinò per camminare intorno alla preda mastodontica. Ne raccolse il potere, si inebriò di tale fuorvietà. Aprì le mani e s'abbassò, poggiandole su un terreno fattosi cupo, raccimolando quella forza impagabile che immagazzinò, per toglierla all'imbecille ignaro.

    Ne avrebbe fatto buon uso altrove.

    Lampo di fuorviante divertimento, prima di sparire e trovarsi in un luogo diverso.
    Non gli interessava dove fosse, menefreghista di ciò che vigeva, chi ne faceva le veci. A lui interessava solo quel branco di stolti che avevano deciso di lasciarsi invaghire dalle promesse della meretrice di una generazione antistante a quella dei propri genitori.
    Piccoli vermi sfrontati: dichiararsi morti al mondo? Agli occhi del visibile?

    Ma lui dimorava nell'ombra, lui era fumo precoce, che avrebbe invaso i loro polmoni, traendone piacere meschino.
    Rigettò il potere della forza di Ioneglai sulle pedine di Kréin. Tanti nomi inutili per lui, solo coscienti d'aver osato troppo nella loro sfrontatezza.
    Proiettata nel cielo su la forma d'un drago abnorme, le dimensioni di Ioneglai, soltanto fatto ad ombra. Non v'erano particolari, non c'era una forma esatta, ma solo la potenza a trarne beneficio.

    Fu in questo mondo che quell'esimie esistenze nullafacenti caddero sotto il suo intento d'annientamento.
    Dathura, Aconis, Helbus,...Quanti nomi inutili, il cui sangue versò sulle mani del giovane drago, peste inumana di fronte allo sfacelo.

    Aveva atteso ben oltre il desiderio.
    Li aveva lasciati zampettare per giorni, in modo che potessero condurlo dove più avrebbe fatto danno.

    Di quella schiera di cui Kréin si vantava, ora rimanevano solo Gimli e Forthwald, i quali Ragaroth decise di non andare a stanare, l'uno più prezioso dell'altro per i futuri piani.

    Trasse un respiro profondo, tornando ad aprire gli occhi, mentre il sapore del sangue e del desiderio inebriava i propri sensi, poggiando i gomiti sul parapetto di marmo, curvandosi divertito nell'ammirare da Tyfaral, il suo operato.
    -Lithiel- Bisbigliò, sapendo che un ombra accanto alla ragazza le avrebbe fatto sopraggiungere quelle parole. -Piccolo topolino, vuoi giocare con me?-
     
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