Un'anima smarrita

Role Lithiel e Pallando

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    Dopo che quello spirito maligno aveva tentato d'ingannarla millantando d'essere Yavanna, Lithiel era rimasta per parecchio tempo assente e disorientata; perfino dopo essersi destata in quel suo intricato garbuglio di fiori bianchi la sua percezione alterata l'aveva portata ad aprire gli occhi di laguna sul cielo, catturando gli spiragli dispettosi di un rosso sole fra i rami spogli, senza pensare a nulla.
    La realtà pareva fatta di ovatta, i suoni giungevano al timpano senza stimolare una vera reazione.
    Ma infine si rese conto di essere ancora parte del mondo, viva e in grafo di respirare.
    Mosse allora le delicate dita, saggiando la consistenza morbida dei delicati e lisci petali al tatto e le parve di stare ancora dormento, avvolta nelle spire di un sogno dai toni surreali.
    Una folata di vento gelido la fece rabbrividire e Lithiel riprese coscienza che era davvero reale quel che la circondava; ma come la ragione tornò ad accendersi, i fiori si ritrassero e con un urlo di stupore la ragazza si ritrovò al suolo.
    Le sue ferite si erano quasi del tutto rimarginate, un fatto che non la stupì più del dovuto: i suoi graffi non avevano mai avuto una lunga vita.
    Sahjir le aveva spiegato, tempo addietro, che lei era protetta da forze maggiori.
    Allo stato attuale e alla luce degli ultimi eventi Lithiel non sapeva più in cosa credere, ma una cosa era certa: non poteva tornare indietro e ricongiungersi ai confratelli fino a che non avesse capito chi era davvero e se la minaccia che precedentemente incombeva su di loro non si fosse estinta.

    Con le vesti ancora logorate dalla lotta con quella creatura detta "la Dama" e il freddo che le entrava nelle ossa, Lithiel prese una direzione a caso.
    Si basò unicamente sull'istinto e proseguì senza intoppi sino al crepuscolo, quando le ombre cominciarono ad allungarsi tetre e non le restò altra soluzione se non quella di trovare riparo fra grosse radici che sembravano formare un giaciglio perfetto.
    Era ingenua Lithiel, cresciuta al sicuro fra le bellezze del giardino esotico dei confratelli.
    Non temeva orchi o animali feroci, sebbene ne avesse udito parlare le sembravano storie così distanti dalla realtà da non riuscire a figurarsi di poterne incontrare qualcuno sul proprio cammino.

    Era stanca ed era quasi riuscita ad assopirsi, quando una sgradevole sensazione la mise in allerta: gli occhi verdi scattarono in ogni direzione, senza riuscire a individuare la fonte di una tale inquietudine.
    Era un turbamento profondo, misto a un dolore allo stomaco: un brutto presentimento.
    Poi un movimento la fece scattare seduta, gli occhi guizzanti e il cuoricino che nel petto faceva echeggiare forte i suoi battiti.
    L'ombra dell'albero si era mossa impercettibilmente e lei restò paralizzata, divisa tra il terrore di correre e il buonsenso di stendersi e fingersi morta.
    L'albero conosceva il suo nome, diceva di voler giocare con lei.
    "Topolino" l'aveva chiamata.
    Per lo stupore schiuse le labbra e il piano di fingersi morta andò in fumo quando un ragno posò erroneamente le zampette lunghe e sottili sul suo orecchio, facendola scattare in piedi piroettando su sé stessa nel tentativo di farlo cadere giù.

    -Sciò, sciò, sciò!-

    Quando finalmente riuscì ad acciuffarlo lo posò delicatamente sul tronco e poi si guardò attorno portando una mano al petto, preoccupata dal surreale silenzio piombato nel bosco.
    Poi però un uccellino cinguettò e quella cupa atmosfera piombata all'improvviso parve dissolversi così com'era arrivata.
    Si rivolse allora al ragno con tono di rimprovero.

    -Vi siete messi d'accordo tu e questo grande albero, eh? Mi avete fatto proprio un bello scherzo, ma "topolino" é stanco. "Topolino" no giocare. "Topolino" a nanna andare!-

    Si rimise sdraiata, osservando torva il ragnetto e l'albero.

    -A nanna anche voi, tutti e due!-

    Non se ne rese conto, ma mentre dormiva i petali bianchi la coprirono, rispondendo al suo bisogno inconscio di sentirsi protetta.

    A quello strano e bizzarro evento, che la rossa racchiuse in un cassetto della memoria classificandolo come uno scherzo della natura (letteralmente), il suo incedere alla cieca non ebbe ulteriori intoppi.
    Con le colline ormai distanti all'orizzonte seguiva il corso di un fiume che non conosceva.
    Smarrita e impavida nella propria incoscienza, la giovane giunse alla foce del fiume; era un luogo meraviglioso, che immediatamente le fece provare un senso di pace facendole scordare le insidie terribili affrontate nel suo peregrinare.
    Abbandonò gli stracci e si tuffò spensierata in acqua, concedendosi un gridolino con la voce cristallina: era gelida.
    Adagiò le chiome ramate a pelo d'acqua, chiudendo le palpebre sul viso chiaro solo un istante, il tempo necessario a scansare le ultime fatiche del viaggio: non era consigliabile restare immersa troppo a lungo con quella temperatura.
     
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    I giorni dello stregone blu si susseguivano sempre uguali: di giorno indagava la questione dei draghi, di notte approfondiva i suoi studi sulla necromanzia.
    Abbandonando Carn Dum con l’intenzione di non tornarvi mai più ad abitare, di nascosto, lo stregone aveva duplicato con la sua magia alcuni libri tra cui particolari grimori neri che trattavano proprio di questo tema nonostante il suo superiore gli avesse proibito di continuare tali ricerche.
    Non aveva affatto accettato il responso finale che gli aveva dato Ermes sulla questione dei morti, per Pallando, infatti, rappresentavano una forma di magia davvero formidabile che andava scoperta sempre di più: resuscitarli era soltanto il primo di tanti altri passi da compiere in questo campo. E perciò ogni notte illuminato dai raggi di una scintillante luna piena lo stregone blu seduto sulla riva del Lhun decifrava quei testi antichi.

    Chissà se vi era un’analogia tra il ritorno dei draghi e un incantesimo di necromanzia che li aveva fatti rivivere!

    Quante più nozioni apprendeva, tanti più dubbi lo assalivano. Erano capitato persino che per sciogliere tali enigmi Pallando avesse consultato le vecchie biblioteche di Mithlond, spostandosi da quella palafitta che ormai iniziava a percepire come casa.
    Con la sua magia aveva allargato quel cubicolo unendo tutte le altre palafitte dissestate alla sua, creando una vera e propria residenza sul fiume. E con lo stesso tipo di metodi l’aveva anche tutta decorata, aggiungendovi tappeti, quadri, mobili vari ma soprattutto i suoi laboratori magici dove poteva ricreare in piccolo tutti grandi eventi dell’umanità.
    Tutto ciò avrebbe potuto attirare l’attenzione di molti se si fosse trovato in città, magari lo avrebbero potuto anche multare per essersi appropriato di uno spazio non suo, ma quella era terra di nessuno. Solo il fiume reclamava quelle rive mangiandosi tutto con le sue onde. A Pallando questo andava bene, adorava il silenzio e il vuoto intorno perché gli permettevano di concentrarsi meglio e di non vivere con l’ansia di essere scoperto a richiamare in vita i morti.
    Capitava spesso, infatti, che durante le notti di luna piena Pallando rianimasse i pesci che aveva catturato di giorno per puro interesse accademico.

    Dunque le giornate scorrevano così, aspettando nuove scoperte e nuove notizie da parte dei suoi colleghi, ma quel giorno qualcosa o meglio qualcuno cambiò il solito ciclo.

    Era mattina tardi quando Pallando stava preparando un nuovo incantesimo cercando di emulare con la sua magia la qualità inarrivabile delle celebri frecce nere, sapeva che non avrebbe mai potuto riuscirci ma si era intestardito di potercela fare.
    Si ripeteva che se poteva resuscitare gli spiriti dormienti, poteva emulare anche il più capace dei fabbri nanici, eppure andava tutto in fumo, incrementando progressivamente la sua frustrazione. E mentre i suoi progetti andavano letteralmente in fumo intanto sentiva provenire dall’esterno dei rumori fastidiosi. C’era qualcuno che si divertiva a giocare con le acque del fiume rovinando quell’atmosfera cimiteriale che giovava all’umore positivo dello stregone.
    Dapprima si convinse di poterlo tollerare, viste le sue sublimi capacità, ma dopo un po’ si rese conto che non sarebbe riuscito a lavorare con serenità se c’era qualcuno là fuori.
    Si affacciò dalla finestra e vide una ragazzina dai lunghi capelli rossi che si faceva il bagno lì sotto. Che cosa diamine c’entrava oggi la ragazzina?

    Burbero Pallando le strillò:

    -Falla finita di giocare qui! Vattene, non voglio nessuno davanti casa mia!-

    Qualcosa lo insospettiva però… che cosa ci faceva una ragazzina sola come lei qui in un posto così abbandonato? Inoltre non aveva sentito arrivare nessuno in quel fiume. C’era qualcosa di particolare che gli fece continuare a fissare con aria dubbiosa quella ragazza che non sembrava tanto intenzionata a dare retta alle parole del vecchio stregone.
     
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    Un lieve solletico alla caviglia la incuriosì e portò l'attenzione della giovane in un punto preciso.
    Un pesce stava sguazzando vicino alla sua gamba e lei si chinò appena per poterne osservare da vicino il colore argenteo e le scaglie luminose con qualche striatura più scura.
    Rabbrividì nel farlo: c'era qualcosa di assolutamente anomalo in quel pesce, i suoi occhi erano vitrei e opachi come quelli di tanti suoi simili esposti nelle bancarelle degli assolati mercati.
    Aveva visto abbastanza cose strane per capire che qualcosa non andava e il suo piccolo cuore balzò spaventato nella cassa toracica, allontanandosi istintivamente da quella creatura acquatica.
    Si sentiva triste, incredibilmente triste pensando che il pesciolino viveva in una ovattata illusione di vita, ma i suoi simili sapevano.
    Si sentiva arrabbiata, perché quella cosa non era normale...

    "Viviamo e moriamo in un cerchio perpetuo, Lithiel. Per quanto sia triste che i nostri compagni possano non tornare, é un qualcosa di inevitabile. Debi accettare questa idea"

    Erano queste le parole che le aveva rivolto il suo mentore, tempo addietro.
    Allora non le aveva capite, ma ora pensava di averne intuito il senso.
    Credeva...

    Quando il vecchietto barbuto si affacciò, lei stava camminando sul manto erboso a piedi scalzi; senza troppo curarsi di essere nuda, lo salutò con la mano.

    -Buongiorno nonnino! Mi spiace di averti destato dal sonnellino, ma l'acqua era proprio fredda!-

    Gli sorrise candidamente, andando a recuperare i vestiti logori e sporchi. Avrebbe dovuto lavarli, ma si sarebbero asciugati troppo lentamente e non poteva certo indossarli umidi in quel periodo: le sarebbe venuta una polmonite.
    Tenendoli in mano e rimirandoli ai pallidi raggi del sole, voltò nuovamente gli occhi verdi in direzione dell'anziano sconosciuto.

    -Nonnino... hai un caminetto nella tua bella casetta?-

    Domandò tranquilla, come se fosse la cosa più normale del mondo auto invitarsi in casa di uno sconosciuto in quella "veste".
    Forthwald ci aveva provato mille volte a inculcargli le basi del buonsenso e del buon costume, ma il suo spirito era fin troppo selvatico e le scordava alla svelta.
    Però lo faceva con un candore che non poteva essere interpretato come un gesto malizioso.

    -Per favore... fa freddo qui fuori e ci sono dei pesci morti che mi fissano. Sguazzano lì, nel fiume, come se niente fosse. Non hanno capito di essere morti e si aggrappano alla vita, poverini; ma devono lasciarla. Questo non é più il loro mondo...-

    Mise un piccolo broncio, tenera smorfia di preoccupazione.

    -Il loro tempo é finito e non si deve giocare col tempo. La sabbia deve cadere, non si mette a volare...-
     
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    -Brutta impertinente svergognata! Non sai chi hai di fronte altrimenti non mi chiameresti “nonnino”!-

    Le strillò furioso. E poi borbottò tra sé:

    -Tu guarda se ho dovuto vivere millenni per farmi chiamare “nonnino” dalla prima sventurata di turno!-

    La ragazzina, nonostante quelle parole, non intendeva assolutamente andarsene, anzi, si autoinvitava nella sua dimora segreta.
    Ed era proprio tutta quella ingenuità, tutta quell’arroganza e superficialità nei modi a irritare fastidiosamente lo stregone.
    Continuò a fare pensieri velenosi su quell’individuo ma poi si accorse di non aver ascoltato molto bene le parole che finora gli erano state dette. Il suo orgoglio gli aveva ottenebrato un importante dettaglio di cui la straniera ciarlava ormai da tempo. La ragazza si era accorta del suo incantesimo di necromanzia!
    Certo chiunque avesse avuto un po’ di erudizione o una particolare sensibilità sviluppata avrebbe potuto capire che quegli animali non erano “molto vivi”, ma di certo non si aspettava che la prima ragazzina forestiera capitata lì se ne potesse accorgere.
    S’interrogò intanto mentre la ragazzina frignava per il freddo se il suo incantesimo fosse così evidente agli occhi degli altri, ma in verità non sarebbe dovuto esserlo: aveva compiuto alla lettera tutti i passaggi indicati nel grimorio.
    Sicuramente non era colpa dello stregone, piuttosto quella piccola straniera aveva un talento davvero magnifico che stupì e incantò lo stesso stregone, soprattutto quando gli pronunciò quella massima sulla vita e sulla morte.
    Pallando finora si stava sporgendo dalla finestra per osservarla e inveirle, ma dopo aver ragionato più approfonditamente si spostò dalla finestra e si mise alla porta della sua palafitta con una pelliccia per asciugarla.
    Le urlò ancora vista la distanza tra i due stavolta però con animo più bendisposto e mite:

    -Ho appena messo un po’ di legna sul fuoco e ho qui una calda pelliccia per asciugarti. Non dovresti farti il bagno in questo estuario. È pieno di fanghiglia e l’acqua non è molto pulita, rischi di ammalarti. Anche se da giovani, dopotutto, ci si ammala meno…-
    Concluse borbottando.
    Aspettò per poco che la ragazza gli venisse incontro le lasciò la pelliccia e lui tornò dentro. Senza dare nell’occhio, in modo molto delicato e furtivo, lanciò un incantesimo qua e là per nascondere qualsiasi traccia dei suoi libri e dei suoi esperimenti che teneva qui dentro.
    Parlare di morti e di draghi con una ragazzina sconosciuta era abbastanza sconsigliabile se voleva continuare a vivere qui avvolto nel mistero.
    Fece appoggiare la ragazza vicino al camino nel suo salotto e le portò una bevanda calda per ristorarla insieme a un po’ di pane.

    -Spero che ti vada bene, infondo, non è ancora ora di pranzo e non c’è bisogno di abbottarsi di cibo. Quindi accontentati perché mi sono dimostrato fin troppo magnanimo accogliendoti qui dentro.-

    Mentre parlava con quell’atteggiamento inacidito il blu prese posto vicino a lei e la esaminò con quello sguardo inquisitorio che le rughe della vecchiaia amplificavano notevolmente.
    Non si curò del fatto che così poteva mettere a disagio la ragazzina, anzi, che pensò che fosse proprio quello l’atteggiamento adatto per ricavare qualcosa dalle parole della forestiera.

    -Dunque… nessuno mette piede in questo posto ormai da molto, molto tempo. Come mai una ragazzina come te girovaga da queste parti da sola? Non lo sai che può essere pericoloso?
    E poi dimmi hai visto dei pesci? Io non pesco nulla da settimane! Sei sicura di quello che dici? Per me devi essere molto provata dal freddo.-

    Edited by Pallando - 31/3/2020, 22:58
     
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    Lei non diede cenno di spaventarsi alle urla dello sconosciuto: era cresciuta in un luogo abitato da sicari che si urlavano minacce da mane a sera, ma le vere minacce arrivavano nel silenzio.
    Dopotutto vi era perfino il detto "can che abbaia non morde", giusto?
    Lei non conosceva i dubbi instillati con le proprie parole nello stregone e neppure sapeva di trovarsi innanzi a un istaro.
    Ma il gelo...
    Il gelo la faceva sentire debole, non le piaceva e l'acqua del fiume che le scivolava sulla pelle bianca, a contatto con l'aria invernale, era decisamente un problema a cui doveva ovviare in breve tempo.
    I denti iniziavano a battere fra loro e lei tremava tutta.
    In passato la chiamavano "Fogliolina" ed ora si sentiva proprio come una di quelle foglie seviziate dall'aria gelida.
    Era sul punto di pregarlo ma non fu necessario, perché il vecchietto ricomparve sull'uscio con un abito fatto di pelo che le sembrava morbidissimo.

    -Yaaaah!-

    Esclamò, in preda alla gioia e tutta esaltata gli corse incontro: si arrampicò sulla scaletta che conduceva alla palafitta ed una volta in cima lo abbracciò, al colmo della gratitudine.

    -Sembra la veste di un gatto, ma dov'é la coda? L'hai mangiata?-

    Chiese, mentre la indossava e s'intrufolava in casa seguendone il padrone: subito si sentì sollevata, perché l'ambiente era caldo e accogliente e dopo qualche minuto anche le sue labbra ormai bluastre iniziarono a riprendere il normale colore.

    -Lo so e di solito faccio il bagno nel tempio, con gli oli profumati. Sono una ragazzina pulita. Però abbiamo fatto un viaggio e avevo bisogno di un bagno. Solo, non sapevo che qui abitasse qualcuno, altrimenti ti avrei chiesto prima di poter usare il tuo.-

    Annuì lei, convinta.
    Poi però i ricordi di quello che aveva trascorso la investirono e col capo chino e i capelli ancora bagnati che le scendevano all'altezza di un seno appena accennato, coperto ora dalla pelliccia, allungò le mani per accettare timidamente la tazza.

    -Poi la terra ha iniziato a fare "brrr" e il tempio ha fatto "Kapoom!". Il mio mentore ci ha detto che eravamo in pericolo e così siamo scappati... Però nonnino, non preoccuparti. Questa bevanda mi va benissimo, non mangio da tanto tempo! Da quando ho lasciato il porto.-

    Lei sorrise tenera, portando le labbra sulla tazza sollevandola un poco per poter attingere al suo contenuto amarognolo. A lei piacevano le cose amare, quindi rivolse allo stregone un sorriso radioso.

    -É squisita!-

    Si guardò un po' attorno, curiosando con lo sguardo i tomi polverosi presenti sugli scaffali, che sembravano molto antichi.

    -Ooh! Ti piace leggere? Anche a me piace leggere. Quando ero al tempio leggevo tanto, non avevo molto altro da fare. Ah, sì! Preparavo le erbe per il Maestro, ma quello era facile!-

    Dondolò i piedini su e giù per scaldarli un po' e non ottenendo alcun risultato li guardò un po' delusa.

    -Ehi, ma su, calore, calore!-

    Prese a sbatterli uno contro l'altro a ritmo, battendoli poi un pochino contro le assi del pavimento.
    Poi riportò lo sguardo sull'uomo da lei nominato "Nonnino": si era fatto vicino a lei, fatto che le fece inclinare il viso un po' sorpresa ma per nulla intimorita gli sorrise.

    -Sei un nonnino che abita qui solo soletto? Per questo sei tanto burbero? Ma non preoccuparti. É un bel posto e si vedono gli animali, no? Loro sono amici! Anche quei pesci, li dobbiamo aiutare. Sono sicura di quello che dico, ci sono pesci con occhi opachi nel fiume. Sono quelli che non bisogna comperare al mercato perché sono morti da tempo... Loro però non lo sanno che sono morti, continuano a nuotare in questo fiume e sono tristi, perché gli altri pesci non giocano con loro: hanno paura!-

    Ascoltando le parole di Pallando, Lithiel si fece più triste.

    -Io... io non ero sola. Ma ho dovuto lasciare i miei amici perché c'era uno spirito cattivo. Era alla Montagna. Ora lo spirito cattivo non c'é più, ma ha fatto una cosa brutta e devo fermarla io, andando a Gondor.-

    Guardò l'istaro, speranzosa.

    -Gondor é vicina, vero?-
     
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    -Sono troppo vecchio per capirti se mi parli così! Spiegati bene non farmi tutti questi rumori e questi gesti, perché non leggo nella mente.
    Ora ti preparerò da mangiare, perché mi sembri abbastanza affamata e tu mi racconterai tutto con più calma.-

    Annunciò questo lo stregone in conclusione di tutta la spiegazione che la giovane gli aveva fornito. Pallando aveva intuito alcune cose ma dopotutto era difficile anche per lui capire quali eventi erano evocati nella mente della ragazza mentre questa parlava.
    Si alzò dalla sua sedia e andò a cucinare qualcosa.

    -Spero che ti piaccia il germano perché in questi giorni sono riuscito a trovare solo questo. Ma anche se non ti piacesse ti dovrai accontentare perché non ho altro cibo da spartire!-
    Mentre cucinava tagliando le patate e stufando la delicata carne d’anatra Pallando continuò a rivolgersi a lei:
    -Dunque… ancora non ci siamo presentati! Io sono Eberoth il Pescatore, o almeno così mi chiamano da queste parti. Vivo da sempre qui in solitudine e spendo le mie giornate andando a caccia e a pesca quando posso, anche se l’età ormai si fa sentire.
    Dato che mi è diventato difficile inseguire gli animali sto iniziando a leggere un po’ di libri, sai, ci sono delle favole davvero molto interessanti!
    Tu invece chi sei una di quelle novizie dei templi degli uomini?-

    Chiese con fare disinvolto e vago lo stregone. Da quel racconto strampalato si era immaginato che la forestiera fosse una giovane apprendista in un qualche tempio sacro che era crollato. Si immaginava questo ruolo per via del riferimento a un tale mentore per cui preparava le erbe. Solitamente lo studio delle antiche letture e dell’alchimia si addiceva proprio ai sacerdoti, ma vista la sua giovane età non poteva che essere un’apprendista. Pareva inoltre che fosse diretta a Gondor sicuramente lì avrebbe potuto continuare il suo apprendistato.
    Eppure c’era una voce in lui che gli spiegava che tale tesi si reggesse poco in piedi, perché in tutto questo tempo a nessuno dei suoi colleghi Istari era giunta voce del crollo di un tempio.
    Mentre la ragazza gli rispondeva Pallando pose i piatti pronti a tavola e continuò a conversarvi:
    -Beh il pranzo è servito, spero ti piaccia! E comunque non sono burbero altrimenti non ti offrirei tutti i servizi della mia casa. In verità vivo da molto tempo solo e non so più usare le buone maniere.
    E comunque ti ripeto che non esistono nemmeno i pesci non morti!-

    Lo stregone non aveva molta fame, si era messo da parte soltanto un cosciotto d’anatra e due piccoli pezzetti di patate giusto per tenersi in vita. Per cui ci mise poco a finire di mangiare e quando terminò il pasto si alzò e si accese la sua pipa, e prese da un comodino infondo la stanza una mappa della Terra di Mezzo.


    -Dunque mia cara questa mappa è un vero gioiello! L’ha scritta il miglior cartografo che sia mai esistito in questo mondo. Era un nano e un bravissimo geografo ma non so dirti che fine abbia fatto. Comunque guarda qui. Vedi? Noi ci troviamo qui, nella regione di Forlindon, infondo a questo fiume ci sono i Rifugi Oscuri degli elfi, i bellissimi porti. Noi quindi stiamo a ovest mentre Gondor si trova qui nel più inoltrato Est e inoltre si trova vicino Mordor, una terra che mette i brividi. Non è un viaggio semplice e nemmeno sicuro. Se decidessi di intraprenderlo a cavallo ci metteresti più di una settimana. Per cui ragiona bene se è davvero necessario arrivare fin lì!
    Perché mai una giovane creatura come te dovrebbe arrivare a Gondor? E perché sei venuta qui nel Forlindon se devi andare lì? Che cosa ti è successo, chi sei?
    Raccontami bene la tua storia e quella del tuo maestro, del tuo tempio e di questo Kaboom che ha distrutto tutto. Forse se capissi bene tutto, io potrei aiutarti.-
     
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    Per lei non era semplice spiegare le cose: da sempre abituata a parlare il meno possibile per conservare le energie datele dalle sensazioni, in genere non aveva la necessità di fare grandi discorsi perché i confratelli la capivano, anche se di poche parole.
    Spesso erano stati rudi con lei e le avevano rivolto parole crude, ma questo non significava che non fossero una famiglia.
    Tuttavia quell'uomo non la conosceva ed era più che comprensibile vi fossero delle difficoltà.

    -Nnnhyap! Va bene!- chiocciò contenta, non sapendo davvero come spiegarsi senza onomatopee.
    Ma non ci pensò più di tanto in quel frangente, perché la promessa di ricevere del cibo era talmente allettante da occupare uno spazio privilegiato nella testa.

    -Il germano?-

    Chiese conferma, portando l'indice alle labbra morbide, pensosa.

    -Non ho mai assaggiato un germano, ma sono certa che sarà buono, Eberoth. Ho lo stomaco coi brividi e mi dà i pugni.-

    Cercò di spiegare la sensazione di fame che aveva, massaggiandosi la pancia per attutirne i crampi; il profumino invitante che poco dopo si levò dal caminetto la fece sorridere contenta, tanto che batté le mani estasiata.

    -Mi piace, mi piace il quack-quack!-

    Esultò, mentre ancora l'anatra stava rosolando sul fuoco e intanto prestò orecchio alle parole dell'erudito pescatore.

    -Eberoth, ma quando sarai troppo stanco gli animali mangeranno te: la vita fa un grande rororororon! Rotola tutta! E allora se non mangi diventi tutto molle e le belve fanno "Grooaw"!-

    Era un modo per dire che se stava invecchiando e non poteva procacciarsi il cibo, stando tutto solo rischiava la pelle; il nonnino era stato gentile con lei, quindi non voleva si facesse male e gli pizzicò la manica della tunica con le dita.

    -Sicuro che mangi solo quello? Era buono il quack quack! O come lo chiami tu, aspetta... germano! Forse non ne trovi tanti perché fa freddo e gli animali fanno la nanna! Ma se vuoi ti aiuto a trovarne qualcuno per l'inverno, così tu puoi leggere.-

    Lithiel conosceva la parola "novizio": Sahjir chiamava così gli iniziati alle arti dei veleni ma lei non lo era davvero.
    Lei era sempre stata una sorta di mascotte per i sicari, qualcuno che curava le loro ferite quando questi tornavano dalle battaglie combattute in nome della Dama.
    Prese fra le mani una patata arrosto e la sbocconcellò gustandone la pastosità appena salata dal gusto di braci.

    -I confratelli fanno tanto pum-pum! E quando si fanno la bua io li curo, non sono una novizia. Ma il tempio era degli uomini, sì! Il maestro era un uomo. E anche Forthwald. Poi c'erano i fratelli elfi! E anche due nani, ma uno é stato ucciso.-

    In effetti tutti i loro guai erano iniziati da allora.

    -Sahjir ascoltava la Dama e lei ha detto che io dovevo morire. Ma poi la terra ha fatto brrr... aveva i brividi, capito? Tanti brividi, ha fatto cadere il tempio! Così io e i confratelli siamo scappati.-

    Per fortuna Eberoth tirò fuori una mappa e Lithiel la studiò con cura per alcuni minuti, ignorando le parole del vecchio.
    Fu invece con estrema convinzione che puntò il dito su un punto smarrito nelle foreste in Harad.

    -Casa!-

    Fece risalire il dito a sinistra e poi in alto, lungo la costa.

    -Nave.- Il dito seguitò a muoversi, inseguendo una linea immaginaria fino alle coste di Gondor. La sua voce era triste e malinconica quando riprese a parlare. -Forthwald... lui qui!-

    Era stata sufficientemente vicina a lui, durante quel viaggio, da sapere che quello era stato il loro percorso; poi però realizzò di essere molto distante e che la voce l'aveva attirata troppo distante.

    -La Dama é cattiva. La Dama ingannava Sahjir, diceva di essere Yavanna. Ma Yavanna é una Valie, non può essere malvagia, vero?-

    Guardò con occhi atterriti il sedicente pescatore.

    -Lei parla nella testa delle persone, fa cose brutte! Non é una Valie... Non lo é! E Gondor é in pericolo. C'é Forthwald lì, devo salvarlo!-

    I suoi occhi si riempirono di lacrime.
     
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    Un po’ gli addolciva il cuore la tenerezza e la dolcezza di quella bambina con quei gesti così infantili. Era l’unica che lo ringraziava per aver cucinato qualcosa e l’unica che applaudiva per il suo cibo.
    Per poco tempo si sentì rasserenato e tranquillo, pensando di avere davanti soltanto una povera sventurata, poi però vennero fuori talmente tanti nomi e tante particolarità che l’animo da addolcito mutò in un animo inquieto.
    Una grande tempesta di emozioni, come un galeone nel pieno della bufera, lo stava travolgendo tutt’insieme, poiché alla mente gli ritornò vivo, nitido, lucidissimo il ricordo di quel sempliciotto di Rohan, quel Forthwald.
    Gli venne un magone alla pancia, come se qualcuno gli avesse appena sferzato un destro nell’addome, nel risentire il nome di quell’uomo . Cercava di dissimulare tale sensazione davanti alla sua ospite ma purtroppo non vi riusciva molto bene.
    Quel Forthwald era lo stesso uomo che anni fa, preda alle sue ossessioni, Pallando tramutò in un abominio e un ragno: una creatura ripugnante e intrisa di potere oscuro.
    Allora gli apparve Mairon a sciogliere il sortilegio a cui aveva condannato quell’uomo, perché alcune cose andavano celate necessariamente.

    “Pare che questa sia la ricompensa che Sauron ha donato a quell’uomo: vivere nelle sue lande.”
    La ragazza continuò a parlare raccontandogli di una tale dama malvagia e del pericolo cui stava andando incontro tale Forthwald. Pallando allora non riuscendo più a essere incline alla diplomazia e alla buona retorica sbottò così:

    -Dimmi, straniera chi sei, come ti chiami? E che rapporto hai con questo Forthwald? Chiami Harad la tua casa ma sai che quelle terre sono molto lontane da qui e poco inclini alla nostra giustizia? Esiste una serpe oscura che si aggira tra loro da sempre; essa sussurra nelle menti di quegli abitanti e li possiede, trascinando i poveri sventurati nel baratro e nella disperazione.
    È risaputo, poiché io viaggiai per anni in quelle terre, che gli Haradrim siano molto suscettibili alle parole di questa serpe, un certo Mairon… tu per caso lo conosci? Qui noi lo chiamiamo Sauron ed è uno dei più validi alleati dell’Oscuro Signore, capace di evocare creature oscure e maledette.
    Non mi stupirei se questa Dama fosse uno dei trucchetti di Sauron e del suo miserevole entourage.-

    Dopo avergli detto quelle parole, il Blu, che inquieto ciondolava in piedi avanti e in dietro per la stanza, continuò a riflettere sbuffando con la sua pipa.
    Pensò che forse costei non fosse altro che uno dei trucchi di Sauron per porre fine alla sua vita, forse era l’illusione di questa dolce ragazzina.
    Non sapeva nemmeno più lui che cosa pensare, poiché gli erano state nominate talmente tante cose spiacevoli e in maniera per Pallando poco comprensibile che lo aveva mandato in paranoia.
    Con la mente ormai si stava costruendo sempre più scenari improbabili e irrealistici che tuttavia lo inquietavano. Preda al terrore che anche quella ragazzina c’entrasse qualcosa Pallando generò una piccola illusione con lo scopo di farle vomitare la realtà dei fatti a tutti i costi.
    I fumi del camino e della pipa si fecero sempre più fitti fino a coprire entrambi e l’unica cosa che rimase visibile furono gli occhi taglienti e agghiaccianti dello stregone, con voce grave e profonda le urlò:

    -Non mentirmi creatura non sai davvero chi hai di fronte davanti a te! Sono uno dei più brillanti stregoni di questa terra e non un miserabile vecchio. So riconoscere il pericolo quando ce l’ho di fronte! Sei forse una delle spie di Sauron? Sei anche tu una alla cui testa rimbombano le velenose parole dell’Oscuro Sire? Sei la mia punizione per i torti che inflissi ingiustamente a Forthwald? O forse è stato proprio lui a mandarti qui con lo scopo di assassinarmi?
    E quale pericolo mai c’è a Gondor? E in che modo una semplice pivella come te potrebbe salvare quell’uomo?
    Rispondimi, subito!-

    Si spensero anche tutte le luci e in quell’atmosfera lugubre rimasero solo loro due. Nel silenzio che aveva creato, Pallando poteva sentire benissimo il suo cuore palpitare per la paura, scuotendo tutto il suo anziano corpo.
     
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    Lithiel non sapeva di aver tanto rimestato l'animo dello stregone, né poteva sapere che questi conoscesse Forthwald.
    Tuttavia alle domande dell'anziano non poté che rispondere con dolcezza.

    -Io sono Lithiel, anche se ogni tanto mi chiamano "fogliolina". Perché faccio brrr!-

    Mentre lo diceva tremò un poco, poi sbocconcellò ancora un poco la patata al forno, dondolando i piedi sotto al tavolo.

    -Forthwald é la mia "mamma". Era tutto nero nella stanza sotto al tempio, ma poi é arrivato lui. Poi io non lo dico a nessuno, sennò i confratelli litigano anche di più, ma lui é il mio preferito!-

    Non capiva molto i discorsi fatti da Eberoth, riguardo a ingiustizie e serpi. Il giardino del tempio era così distante da una qualsiasi forma di civiltà, da non consentirle di comprendere appieno i sotterfugi che si annidavano dietro le sembianze della maestosità.
    Però quel nome, Sauron, non lo aveva mai udito prima.

    -Nessun confratello aveva quel nome. Sauron o Mairon... no, no. E poi nessuna pianta si chiama così!-

    A eccezione di Forthwald e Gimli, considerati apprendisti, i confratelli prendevano il loro nome di battaglia da piante velenose, quindi anche se ci fosse stato Sauron in persona fra loro, lei non avrebbe mai potuto riconoscerlo.

    Poi, però, accadde qualcosa.
    Un qualcosa di terribile, che la terrorizzò nel profondo: sola, lontana da casa e dai suoi affetti, trovarsi innanzi a un essere che nuovamente la stava ingannando. Si era mostrato anzitutto come un anziano signore burbero ma tutto sommato buono, mentre ora vi era qualcosa nella stanza, nella sua voce, nel modo imperioso in cui pretendeva obbedienza un qualcosa che destava in lei un primordiale terrore.
    Non sapeva spiegarlo, ma non era la medesima sensazione provata in presenza dello spirito malvagio: la Dama le aveva messo paura, l'aveva insultata, torturata, umiliata ma alla fine Lithiel aveva trovato dentro sé la chiave per combatterla e questa era proprio la sua assoluta fedeltà nel buono.

    Ma ora era differente.
    Istintivamente la ragazza si rannicchiò in terra, le mani a coprirne gli occhi già colmi di lacrime.
    Un grido fortissimo le uscì disperato dal petto e lentamente il pavimento, così come i mobili che su esso poggiavano, presero a tremare.
    Cosa che la fece spaventare ancora di più.

    -Smettila, fallo smettere! Basta brrr, non mi piacciono! Ho paura, basta! Ti ho detto tutto quello che so, perché vuoi farmi male?-

    No, effettivamente c'era qualcosa che non aveva specificato e si affrettò a rispondere alle incalzanti domande del Blu.

    -Non conosco questo signore di cui parli, ma la Dama mi parlava nella testa. Mi diceva cose brutte, cose cattive che non si devono dire! Mentre la cercavo gli alberi facevano fshh tutti arrabbiati, guarda i miei vestiti, non sto dicendo bugie! E la montagna ha fatto growl, e le sue rocce rotolavano giù! Ho visto le genti abbandonare il loro villaggio, ma non so dirti a quanti giorni di cammino da qui!-

    Si strinse nelle spalle, singhiozzando.

    -Mi ha fatto male... e voleva uccidermi. Aveva un fiore tutto nero ma con me non ha funzionato. Per questo devo andare a Gonfor, prima che il fiore sbocci e uccida tante persone! Non devono morire, non é giusto e se io posso fermare quei fiori ho il dovere di farlo!-

    Sollevò lo sguardo sullo stregone, ancora atterrita. Nel suo sguardo vi era la supplica di lasciarla tranquilla.

    -Lei ha detto che forse sono una Maia. Io non credo alle sue bugie e non sono neppure tanto forte. Però é quello che faccio... Per tutta la vita io ho combattuto i veleni e se questo fiore é tanto pericoloso, io lo fermerò!-

    Le scosse di terremoto si erano indebolite attorno a loro e Lithiel si sentiva in parte più sicura.
    Ma il vecchio le incuteva ancora una paura folle.

    -Per favore... nonnino...-

    Dopotutto la verità era celata perfino a lei; non conoscendola non avrebbe saputo dire nulla di diverso allo stregone.
     
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    Quando percepì tremare il pavimento della sua umile dimora in seguito alle urla di quella ragazzina, il blu tremò per lo spavento e atterrito osservò la manifestazione disinibita di quel particolare potere.
    Non si sarebbe mai aspettato che un individuo così piccolo potesse celare un tale potere, ma comprese la questione quando la ragazza gli rivelò che la Dama l’aveva chiamata Maia.
    L’emozione provata nel sapere di avere davanti un tale spirito fu stranissima e indescrivibile. Non si sentì, però, felice, anzi, tutte quelle parole gli pesavano come un macigno e giunto alla disperata supplica della ragazzina capì anche lui di doverla smettere: stava impazzendo.
    Senza emettere un fiato o un gesto egli terminò il suo incantesimo e ritornarono i tiepidi raggi di sole a splendere attraverso i vetri, e tornò anche il tepore delicato del camino.
    Vergognandosi e con umore depresso Pallando si buttò sfinito, a peso morto, su una sedia e mormorò flebile:

    -Oh, dannazione! Ma chi sono diventato? Mi dispiace molto ragazzina, non è da me esibirmi in questo modo…-

    Rimase con lo sguardo fisso verso il pavimento, assente, con un’espressione emaciata sul viso a fumare la sua pipa. Intanto dentro di sé ripercorse tutti gli eventi.
    Ripensò alla capacità della ragazzina di riconoscere i suoi incantesimi di necromanzia, la sua conoscenza dei veleni ma soprattutto la forza di muovere gli elementi intorno a lei, forse era davvero un essere soprannaturale e non una semplice ragazzina.
    Ma chi era tale Dama che si fingeva Yavanna per poter affermare di conoscere tali questioni? Che tipo di magia canalizzava attraverso tale fiore? E come poteva sibilare nelle menti delle persone? E davvero il regno di Gondor era in pericolo? Tutta questa sinuosità e oscurità gli fece pensare che fosse tale creatura non fosse altro che un’arma di Morgoth. Lo stesso Ermes gli aveva confermato che il nemico muoveva le sue pedine all’oscuro di tutti.

    Pallando era esterrefatto non aveva mai sentito in millenni di vita tante cose, eppure non poteva pensare che quella ragazza gli stesse mentendo. E bisognava tenere in considerazione che dopotutto era passato davvero molto tempo da quando aveva abbandonato le lontane terre di Umbar. Lì si separò da Alatar il suo collega, chissà anche lui che fine aveva fatto…
    Il flusso di pensieri di Pallando continuò davvero a lungo mantenendo quindi un pesante silenzio tra i due, finché alla fine delle sue riflessioni lo stregone si espresse e spiegò tutto ciò che pensava:

    -Ti chiedo scusa ancora per il mio comportamento non volevo spaventarti ma non sai chi sono io e non capisci l’impatto che le tue parole hanno su un individuo come me. Non è vero che mi chiamo Eberoth, questo era il nome del vecchio pescatore che abitava qua dentro. Io mi chiamo Pallando il Blu e sono uno degli stregoni di questa terra. Non sono cattivo, anzi, agisco in modo che le mie azioni portino al bene collettivo, ma a volte anche io mi lascio guidare troppo dalle emozioni e purtroppo divento pericoloso.

    Sai, non siamo molti dissimili io e te, se è vero quello che ha detto quella Dama di cui parli, entrambi condividiamo un potere che ci distingue dal resto della gente e io in te l’ho notato più volte. Ho visto che sei riuscita a scuotere il pavimento, forse non sai come, ma tu possiedi un enorme potere e devi essere guidata nel suo uso perché potresti diventare un’arma pericolosa nelle mani sbagliate.
    Non so se nel tempio ti insegnavano oltre ai veleni anche a controllare questo potere, ma non posso lasciarti andare così da sola. Se davvero Gondor è in pericolo come dici, è mio sacro dovere proteggere quella gente e oltretutto ho bisogno di capire chi sia questa Dama di cui parli. Inoltre ho avuto un brutto passato con il tuo amico Forthwald ed è giusto che io mi sdebiti con lui. Perciò ti chiedo se posso accompagnarti a Gondor, e qualora la tua risposta fosse un no, sappi che verrò comunque! Non credo che hai molta scelta perché oltretutto voglio tenerti d’occhio…-
     
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    Lithiel era così atterrita da non comprendere fino in fondo lo sconcerto dell'anziano almeno fino a che non lo vide crollare sulla sedia e realizzò che il sole era tornato a splendere ed illuminare la stanza.
    Poté allora tirare un sospiro fi sollievo.
    Tuttavia l'atmosfera era pesante, troppo perché lei riuscisse a sopportarla: era difficile parlare ed il nonnino sembrava davvero abbattuto per quel suo brutto gioco.
    Gattonò allora timida verso di lui e raggiunta la sedia si issò posando le mani sulle sue ginocchia, rivolgendogli un gran sorriso.

    -Nonnino, ogni tanto arrivano le nuvole ma poi torna il sole, hai visto? Allora sono belle anche le nuvole se pensi che poi i raggi illuminano così il giorno! Io vado a prendere un'altro po' di quack-quack!-

    Era il suo modo per affermare che dopo i litigi era bello fare pace.
    Quando lui finalmente riprese a parlare, lei aveva una coscia di germano fra le labbra e staccava la carne tenera con le dita portandola alle labbra in piccoli pezzi.
    Alla spiegazione dello stregone inghiottì il boccone e gonfiò le guance, muovendo poi il dito sporco davanti al viso del Blu.

    -Non si dicono le bugie, no e no. Brutte!-

    Tuttavia gli sorrise e gli mise una patata al forno tra le labbra.

    -Non fa niente, tanto tu per me sei solo "nonnino" e il nome non cambia mica quello che c'é nel tum-tum!-

    Poi però si fece taciturna ed attenta, poiché quel discorso era intriso di grandi significati.

    -Uno stregone? E pensi che la Dama avesse ragione? Sono una Maia?-

    Ci pensò un po' su e le lacrime affiorarono: se era così che stavano le cose aveva fatto crollare lei il tempio.
    Lei aveva fatto cadere la Montagna, uccidendo colei che affermava di essere Yavanna.
    Singhiozzò, perché capiva di poter fare del male a chi le stava intorno e lei non voleva questo: i suoi compagni erano tutto quello che aveva sempre avuto e tutto ciò che desiderava era che restassero sempre al suo fianco.
    Unì quindi le mani e serrò gli occhi pregando lo stregone che aveva davanti.

    -Ti prego, insegnami come fare a controllarlo! Io non voglio che questo swiish faccia male alle persone! Se davvero sono io a far fare i brr alla terra, allora quello che é successo al tempio é colpa mia! Ma io avevo solo paura perché volevano farmi la bua! Non voglio che accada ancora. Non voglio fare la bibi agli altri!-

    Si tranquillizzò un poco quando il vecchio le disse che sarebbe partito con lei: non solo perché in quel modo avrebbe potuto imparare qualcosa di più sui Maiar e scoprire se effettivamente era una di loro e comprendere come utilizzare il suo potere.
    Ma la cosa più importante era che con lui non si sarebbe più persa!

    -Va bene, allora devi preparare la sacca. Mettici il quack-quack!-

    E radiosa si avviò alla porta.

    -Forthwald sta bene, é sempre gentile con me! Andrà tutto bene, nonnino: se si arrabbia lo calmo io!-

    Era pronta per iniziare quel viaggio, verso Gondor e verso sé stessa.
     
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    -E dire che mi ero appena creato tutto questo posto… chissà se vi farò ritorno! Di certo non voglio rimettere piede a Carn Dum, ne ho abbastanza di quella fortezza.-

    Così borbottò con la pipa stretta tra i denti l’anziano stregone. Con fare molto lento e anche un po’ nostalgico preparò il suo zaino infilandosi tutto il necessario. Piegò le sue pergamene, ordinò i suoi libri, smistò le sue pozioni, infilando tutto dentro uno zaino di umili senza problemi di capienza.
    Sentendo la ragazza parlare anche del cibo si caricò anche qualche patata e carota e anche il quack-quack che le aveva chiesto.

    -Dunque mia cara… sono contento che mi hai perdonato ma ora dovrai promettermi di darmi retta durante questo viaggio. Poi a Gondor sarai tu a farmi da guida, perché è da molti anni che non cammino per quei luoghi.
    Allora…-

    Mentre diceva quelle parole srotolò la mappa e tracciò il percorso che indicò anche alla giovane ragazza.
    -Noi siamo qui nel Forlindon proseguiremo verso Sud attraversando questo breve tratto di mare per entrare nell’Harlindon. In questa stagione la marea sarà molto bassa e non ci saranno problemi per guadare. Continueremo verso sud fino al fiume Adorn e valicheremo le montagne che ci faranno entrare direttamente nella regione di Gondor.
    Questo tratto sarà il più lungo e il più pericoloso, e forse ci sarà bisogno anche da parte tua di adoperare i tuoi poteri. Quanto a questo non ti preoccupare sarò io a guidarti.
    Il nostro problema è che se viaggeremo a piedi ci vorrà davvero molto tempo prima di arrivare e nelle foci dei fiumi non si trovano molti cavalli…-

    Rimase taciturno a pensare a come risolvere la situazione finché anche lui fu pronto per viaggiare. Rimosse ogni traccia di magia da quel luogo, donando pace a quei pesci non morti di cui si era accorta Lithiel e rimuovendo l’illusione nella palafitta.
    Pensò se fosse il caso di avvisare il suo superiore di tale viaggio, di tale ragazzina. Forse era una trappola tutta questa storia, o forse era davvero una ragazzina prodigio bisognosa di aiuto.
    Guardandola così ilare e radiosa che chiacchierava pronunciando strani nomi e strani versi si sentì rincuorato e pensò che non fosse necessario avvertire nessuno di niente.
    Se Ermes avesse sentito una storia del genere ne avrebbe sicuramente fatto un affare di stato.
    Adesso, riteneva Pallando era necessario agire con molta discrezione e pochissima visibilità. La ragazza sembrava essere scappata da qualche pericolo e nessuno dei due poteva essere certo che tale minaccia non sarebbe tornata a prenderla.

    -Mia dolce ragazza tu da questo momento non ti chiami più Lithiel ma ti sarai Feandra, e io sarò Eberoth il tuo vecchio nonno. Mi chiedi perché questi nomi? Perché in quella palafitta ci vivevano quelle due persone. Non posso dirti che fine hanno fatto, perché è una storia abbastanza spiacevole, ma sappi che per il resto del mondo entrambi sono ancora vivi.
    E mi raccomando non parlare con nessuno di questa storia.-

    Queste furono le ultime raccomandazioni che Pallando si sentì di dare.
    Poi capitò che durante il cammino, prima ancora di attraversare la marea tra il Forlindon e l’Harlindon, i due videro un campo di battaglia con dei caduti.
    C’era stato uno scontro tra dei branchi di lupi e degli elfi nativi di queste terre.
    Notando la situazione, con rammarico Pallando prese un’amara decisione, sebbene sapesse che la giovane ragazza avrebbe potuto disapprovare.

    -Mia cara se davvero il tuo amico Forthwald e anche tutta Gondor è in pericolo bisognerà andare oltre a certi problemi di natura etica, e concentrarsi sullo scopo del nostro viaggio.-

    Le rivolse queste parole perché fece risorgere due di quei cavalli caduti in battaglia e la intimò anche con una certa insistenza a salirci sopra. Senza quei mezzi non sarebbero mai giunti in tempo presso Gondor, ed essendo cavalli incantati non avrebbero sofferto la fatica e la fame, anzi, sarebbero stati ancora più veloci di quando erano vivi.
    Quando anche Lithiel si decise a salire in groppa al cavallo, ecco che tutto era davvero pronto.
    Chissà quali sorprese gli avrebbe riservato il futuro a quei due! Era la prima volta, nonostante millenni di vita, che il Blu galoppava con una giovane ragazza.


    [Fine]
     
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